Innanzitutto voglio ringraziare i membri tutti della Commissione
Investimenti e Disinvestimenti per l’ottimo lavoro fatto in così
poco tempo. Per quanto riguarda gli investimenti faccio presente che
nella categoria BBB- sono presenti molti paesi nei quali ritengo sia
poco opportuno investire i risparmi pensionistici dei nostri
iscritti. Per quanto attiene agli investimenti in assenza di rating
deve essere preliminarmente chiaro quanto detta assenza sia dovuta a
mancanza di requisiti (su cui non investire) o a eccessiva onerosità
del rating.
Personalmente ritengo che l’Ente, in considerazione della
prospettiva pensionistica degli iscritti possa e debba privilegiare
le obbligazioni a lunga scadenza (a maggiore redditività rispetto a
quelle a breve). È vero che gli attuali tassi non sono premianti ma
è indubitabile che l’Ente dovrà investire ancora per molti anni a
venire, senza necessità di disinvestire a breve. Ne deriva che
l’eventuale diminuzione del controvalore dei titoli acquistati
conseguente all’innalzamento dei tassi non avrebbe effetti sulla
redditività. Solo, semmai, diminuirebbero le provvigioni.
Ritengo infine che la presente sia l’occasione per rivedere la
politica dell’Ente sugli investimenti immobiliari. Sono infatti
convinto che si debba iniziare ad investire parte del patrimonio sia
in terreni e sia iniziando ad acquistare le sedi regionali degli
ordini che fanno riferimento all’Epap. Sarebbe da una parte una
opportunità visti i prezzi attuali degli immobili, dall’altra una
occasione per dare agli ordini una sede decorosa, magari utilizzata
contemporaneamente dai vari ordini professionali di riferimento
dell’Epap; creando così le condizioni per un confronto fra le
categorie, sia professionale e sia in materia previdenziale, nonché
una opportunità per l’Epap di rendimento garantito; oltretutto a
tassi migliori e più sicuri di tanti altri (convertibili…).
Per quanto riguarda il Tasso di Sostituzione (rapporto fra pensione e
reddito) indicato al 17% e con nessuna possibilità di arrivare al
20%, esso sta a significare che non vi è convenienza alcuna, da
parte degli iscritti, a versare nell’Epap. Infatti tale dato, unito
a quello Istat sulla aspettativa media di vita a 65 anni (età di
pensionamento), inferiore a 20 anni (17.9 per gli uomini e 21.6 per
le donne), porta inequivocabilmente a dire che:
-
Ogni iscritto versa, per i primi 40 anni di vita lavorativa il 10% del proprio reddito netto;
-
Lo stesso iscritto riprende, nei successivi 20 anni di pensione il 17% del proprio reddito netto.
Con un saldo quindi ampiamente negativo. E tutto questo senza
considerare:
-
Che dal primo euro versato all’ultimo incassato sono trascorsi 60 anni, anni nei quali maturano (o sarebbero dovuti maturare) interessi sul capitale versato;
-
Una parte non trascurabile del contributo integrativo versato dall’iscritto (e che non va a montante) in realtà proviene comunque dalle tasche degli iscritti e non dei clienti.
È evidente che in queste condizioni l’Epap sia sostenibile, ma è
innegabile che questo avviene sulle tasche degli iscritti. Tutto
questo succede, occorre dirlo, perché dei tre parametri che
determinano la pensione ben due (Rendimento annuo e Coefficiente di
trasformazione in pensione del montante) sono determinati da
normative ministeriali e non dall’Epap, che invece può decidere
solamente la percentuale di versamento del contributo. Ne deriva che,
in queste condizioni di perdita secca per l’iscritto pensare di
aumentare la contribuzione degli iscritti per migliorare il tasso di
sostituzione è completamente errato in quanto si ottiene solamente
l’effetto di peggiorare fortemente il presente degli iscritti senza
dare un adeguato miglioramento del suo futuro (certamente non
proporzionato ai versamenti fatti); e più si versa e più il divario
tra il versato ed il ricevuto cresce. Occorre quindi prendere atto
che l’Ente, nelle attuali condizioni date, non può essere la
soluzione pensionistica unica degli iscritti; nelle attuali
condizioni, e qui concludo, può solamente cercare di non diventare
per gli iscritti un problema troppo gravoso.